giovedì 26 gennaio 2012

Dal libro "il mio mare" racconto autobiografico di S. Arcieli, pagine 19 e 20

Arrivò la svolta, il giorno in cui la mia vita sarebbe cambiata radicalmente.”




Un giorno al mare, uno di quei giorni felici, ero cavalcioni sulle spalle di mio padre, da lassù respiravo aria fresca e vedevo il mondo, da quella esclusiva posizione  notai per la prima volta  che la linea dell’orizzonte ad un certo punto “inghiottiva” le navi, chiesi perché sparissero così e mi fu risposto che il mondo era rotondo, chiesi allora se le navi,  che prima avevo visto navigare, in effetti non fossero cadute giù dall’altra parte e la fine che avrebbero fatto i poveri marinai a gambe all’aria. Mio padre, come spesso faceva, non sapendo nulla sulla forza di gravità né sul magnetismo terrestre mi rispose Imbarazzato “A Sandrì, quando sarai grande capirai …”

 Quel giorno  mio padre  decise che era giunto il momento di insegnarmi a nuotare, ovviamente non gli passò manco per l’anticamera del cervello di chiedermi se ero d’accordo, “Quello che va fatto, si deve fare (Sigh!) Entrò quindi in acqua. ( Com’è che avevo detto? “Uno di quei giorni felici??” Troppo bello per essere vero! ) Camminò lentamente  verso il largo e da quell’altezza, insolita per me,  notai che la distanza che c’era tra la mia posizione e il fondo, aumentava a vista d’occhio. Fui assalito da un senso di euforia mista a panico,  sarei voluto scendere, mi scappava la pipì e volevo giocare con la sabbia, ero terrorizzato, non sapere cosa effettivamente sarebbe successo pochi attimi dopo mi dava angoscia e paura, oggi  paragonerei quella sensazione a quella che prova un condannato a morte con la benda sugli occhi, non sa quando effettivamente sentirà i colpi del plotone di esecuzione, non sa se soffrirà, non sa se vivrà o morrà. Ebbi pure un poco di vertigini che però passarono. Insomma, un momentaccio.

Mentre il cuore batteva all’impazzata, da lassù si vedevano  tante cose che mai avevo notato. Intanto le cuffie delle signore dello stabilimento avevano cambiato forma e, da quella prospettiva, sembravano dei palloni da calcio che si muovevano a pelo d’acqua spinti da una leggera brezza. La cosa mi fece ridere malgrado tutto. Notai anche dei disegni geometrici sul fondo sabbioso: il sole si rifrangeva  sull’acqua calma e limpida che, muovendosi leggermente per effetto della brezza di mare, come un caleidoscopio  rifletteva sul fondo sabbioso meravigliose forme di luce, dentro di esse come in un labirinto, decine di piccoli pesci  nuotavano impazziti decisi a sfruttare l’occasione che i grandi piedi, smuovendo la sabbia, davano loro. Come sinuose ballerine di rara bravura, davano origine a una danza unica e rara che non concede repliche. Fu in quel momento che nella mia testa prese forma una domanda : << Ma i pesci, come fanno a respirare?>> Me lo chiesi  per ore e giorni.

Negli anni a venire ho poi scoperto che in fondo il fatto che i pesci respirassero o meno mi importava poco, quello che mi importava era come fare per stare sotto acqua e scoprire cosa ci fosse.

Mentre questo pensiero attraversava la mia piccola e scapigliata testa, sentii mancarmi l’aria e mi resi conto che stavo letteralmente volando, lo stavo facendo però in un modo innaturale, non come fanno gli uccelli con le ali spiegate,  come fa Supermèn  con il mantello svolazzante e il pugno chiuso, né come fanno i tuffatori professionisti, no, io mi ritrovavo di lato con gamba e  braccio sinistro verso il cielo e il resto in maniera scomposta disarticolata, la bocca era aperta e i tendini del collo protesi allo spasmo, attraverso le fessure dei miei dentoni,  sentivo entrare dell’aria che rinfrescava seccandole,  le tonsille. Aprii d’istinto gli occhi trattenendo il respiro  e guardai per un ultimo attimo la spiaggia,  gli ombrelloni  a spicchi colorati erano piantati sottosopra così come sottosopra si trovavano le persone, scorsi anche il motorino di mio padre, anche questo sottosopra, mentre il mio cervello cercava di capire ecco l’impatto tremendo con l’acqua fredda,  tutto in pochi brevissimi secondi, prima la mano e il piede, poi braccio e gamba, poi il resto... Persi il costume giallo a righe verticali nere. l’acqua invase il naso, allagando la bocca che d’istinto  e per precauzione,  avevo tenuta chiusa,(calabrone docet!) allagò anche gli occhi che cominciarono improvvisamente a bruciare per effetto del sale e quando riemersi  non vedevo più nulla, i capelli bagnati infatti, mi si erano appiccicati alla faccia creando una tendina trasparente e fitta, non sapevo dove mi trovavo, tossivo e bevevo, le gambe mulinavano pedalando in maniera sconnessa e le mani annaspavano come fanno i quadrupedi. Non sapevo cosa fare e prevalse l’istinto.

Quando mi resi conto di quello che era accaduto, odiai mio padre, lui invece, orgoglioso del “battesimo” che aveva officiato, mi fissava sorridente, ricordo ancora le sue parole:

<< Nuota Sandrì! Ricorda; o nuoti o affoghi >>

Ho memorizzato questa frase aggiungendola ai 10 comandamenti  che la chiesa mi ha trasmesso, in modo da ricordarla e usarla sempre nella mia vita. Difficile o facile che sarebbe stata in futuro la mia vita, e  nei momenti in cui tutto potrebbe sembrare perso mi sarei detto:  ”Nuota, Sandrì, o nuoti o affoghi. Coraggio Uomo, l’ha detto tuo Padre …”

… Ero a galla che annaspavo felice, e soprattutto sano e salvo,  Il resto fu cosa facile, buon sangue non mente. Mio padre in realtà, non aveva idea di che cosa avesse combinato con questo gesto, non aveva previsto le giuste  naturali conseguenze, non sapeva che mi aveva appena salvato, aveva salvato me e la mia anima.

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