E’ l’alba e sono in mare.
Tutto intorno è azzurro, il sole lentamente sta
sorgendo dietro alle montagne, investendole di colore arancio che, mischiato al
turchese del cielo e al bianco dei cirri, dà origine a sfumature che nemmeno
Leonardo potrebbe replicare. Anche
questa mattina Dio si è divertito: ha tra le mani la tavolozza con tutti colori
della Natura. Con mano felice e molta fantasia, i colori e le loro sfumature vengono
miscelati e creati con abilità e maestria.
La varietà delle sfumature cambia in continuazione, di
minuto in minuto e man mano che il sole cresce: bianco, viola, fucsia, rosa, giallo
e altri si fondono lentamente, dando vita a mille giochi cromatici irripetibili
che variano in continuazione man mano che il sole cresce. Che spettacolo! Mi guardo intorno e mi rendo conto di essere
solo, unico testimone di questo miracolo, ogni giorno diverso, ogni volta più bello.
Respiro
profondamente, il mio diaframma si abbassa lentamente facendo spazio alla parte
inferiore dei polmoni e gonfiando piano la pancia; ecco poi che percepisco
anche la gabbia toracica che si espande, l’aria fresca scende dentro i polmoni,
mi sembra di vedere gli alveoli che, come fiori all’alba, si aprono affamati
per assimilare e distribuire il prezioso gas, arricchendo tutto il mio me di
ossigeno. Espello l’aria per un tempo molto più lungo, almeno il doppio del
tempo di inspirazione.
La
mia percezione in queste rare situazioni è al massimo, i sensi sono acuiti e tutti i
piccoli e inutili rumori della vita quotidiana vengono coperti dal lento e
rilassato battito del cuore; il poco
sciabordio delle piccole onde che si infrangono tra l’opera viva e l’opera
morta del gommone non riescono a deconcentrarmi, anzi. La tranquillità nella
quale sono calato è rotta improvvisamente
dal grido stridente di due gabbiani che volano affiancati sfiorando la
superficie dell’acqua, nella speranza di trovare del cibo, ricerca di resti del pasto di pesci predatori
notturni o di qualche branco di pesciolini che nuotano nervosamente
in superficie nella speranza di sfuggire
alla morte.
I
due grandi pennuti quasi mi sfiorano nel loro volo radente, per un istante riesco
a vederne nitidamente l’occhio marrone nocciola scuro, con l’iride piccolo e nero,
segno tangibile della messa a fuoco a lunga distanza. Occhio vigile e attento del
cacciatore spietato, occhio di una bestia che, per natura e istinto di
sopravvivenza, non fa prigionieri. Sento chiaramente il fruscio ovattato delle
ali nel loro battere, per un attimo mi ricorda lo stesso rumore provocato dal
ventaglio di seta souvenir della Spagna, che mia madre usava anni prima per
allontanare la calura estiva, il suono sordo e ovattato è lo stesso… flap, flap,
flap. Nei pochi secondi durante i quali si concedono a me, non posso fare a
meno di osservare attentamente le sfumature di colore delle bianche ali che scuriscono leggermente per divenire grigie a metà e poi nere verso le
estremità.
Andate
- penso – e cacciate con saggezza!
Ho indossato la muta e sputato nella
maschera, come sempre.
E’ un gesto utile, serve a evitare che il
vetro si appanni a contatto con l’acqua fresca del mare. E’ al tempo stesso un
rito senza il quale i “vecchi” non possono immergersi. Oggi i giovani sub, usano
sostanze chimiche anti appannanti e molto inquinanti, per poi ottenere lo stesso
risultato. O forse no ; è meglio il mio metodo.
Durante la vestizione, ancora una volta, per un attimo, provo un leggero fastidio, è l’odore pungente della muta. A distanza di
40 anni e più, infatti, ancora non riesco ad abituarmici, non tanto per l’odore
in sé, quanto perché contrasta troppo
con il profumo della natura: il neoprene, tessuto protettivo elastico e gommoso
che compone la muta da sub, deriva dal
petrolio, prodotto che con il mare poco ci sta.
Eccomi, sono pronto. Mi calo in acqua.
L’acqua di mare quando ti riconosce, non ti bagna, semplicemente si sposta, si
apre per abbracciarti, ti accoglie felice… Provo sempre una sensazione unica: è
l’effetto del “Diving Reflex” (riflesso da immersione), il rilassamento di tutti gli organi interni, i MIEI organi. E così: fegato, reni, pancreas, polmoni, cervello, cuore… tutto si
decontrae, tutto ha memoria, tutto riporta all’atavico ricordo del grembo di
mia Madre, a quando me ne stavo al calduccio nel liquido amniotico, che bello!
Nove mesi in apnea…
Entro
in acqua cercando di non fare rumore. Appena la maschera oltrepassa la sottile
linea di demarcazione che il mare segna tra
esso e l’aria, il panorama davanti ai miei occhi cambia all’improvviso: sono
sospeso, mi sento leggero e mi sembra di volare in un cielo fatto di acqua, non vi è nessuna forza
di gravità. E’ in questo preciso istante che riesco ad avere la stessa
prospettiva dei gabbiani che ho incontrato pochi minuti fa, loro cacciavano
prede dall’alto, IO caccio prede dall’alto. E’ incredibile e straordinario,
volo! Volo e mi godrò da questa altezza, un meraviglioso altro pianeta.
Dal mio nuovo punto di osservazione tutto cambia. Prospettiva, colori, sfumature, forme, flora, fauna tutto mi
allontana dal posto da dove provengo, la terra ferma. Non mi è strano però sentirmi
più a casa qui tra i pinnuti, che a terra tra i bipedi terrestri. Mentre penso
a questo, la mia attenzione viene catturata da un carosello attuato da un branco
di acciughe che si muovono cambiando direzione ritmicamente, riempiendo d’argento
tutto il mare circostante a vista d’occhio, dal fondo alla superficie. Qualche
medusa di colore viola elettrico, con sfumature gialle e dai corti tentacoli,
anche essi colorati ma di viola-rosa che terminano con una forma sferica, si
lascia trasportare dalla corrente pigramente, aiutandosi solo con un movimento
ritmico dei bordi del suo mantello (in verità le meduse mi hanno sempre dato
una senso di passività, come dire, “oggi speriamo bene di trovare una corrente
che ci faccia mangiare!” ma sappiamo tutti che così non è!). La medusa che nuota più vicina a me ha una forma chiaramente tozza
e cilindrica, mi ricorda per un istante quei buffi cappellini che portano le
nonne, di quelli che si fermano tra i
capelli con lunghi spilloni sui quali si può applicare una rete che fa
trasparire gli occhi. La cosa mi fa sorridere, non riesco infatti mai a
trattenermi da questo, la mia mente vaga libera e senza controllo, si fa avanti
con forza e determinazione, un pianeta fumettistico fatto di
paragoni e confronti che lo collegano con le cose che vedo. Sotto la medusa nuotano dei piccoli pesciolini blu: sono delle
castagnole o “guarracini”, come si chiamano in dialetto napoletano, questi, appena nati
sono di colore blu appunto, poi negli anni diventano neri.
Grazie
a questo secondo colore attuano una strategia di difesa che serve a spaventare
i loro predatori. La loro vita si svolge in branco ma in “formazione indipendente”,
ognuno per sé ma sempre abbastanza vicini. Quando percepiscono un pericolo si
ammassano vicinissimi, come usiamo dire noi sub che li abbiamo visti in azione,
si “appallano” cioè formano una grossa palla scura, sembrando così un grosso
pesce, come un plotone di soldati in formazione da battaglia. Questo
stratagemma con l’acqua torbida, in genere spaventa i male intenzionati pesci
di grossa taglia e li confonde nella scelta e la messa a fuoco della eventuale
preda. Più in basso tantissimi pesci colorati sparsi tutto intorno, si muovono
lenti e sinuosi; qualche sarago, ancora intento terminare il pasto notturno a base di ricci di mare, si
allontana satollo lentamente, non appena mi sente.
Mentre
guardo questo spettacolo, ringrazio mio padre, lo faccio ogni volta per la
grande opportunità che in passato mi ha dato, e questo pensiero mi porta
sempre, inesorabilmente, indietro nel tempo…
Africa, anni '50 |
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