Il primo pesce
... Era il 1970 e avevo più o meno 10 anni.
Rovistando in garage saltò fuori un fucile subacqueo, era un tubo lungo in ferro con dentro una molla che scorreva internamente lungo tutta la sua lunghezza. Lo aveva portato a casa mio fratello, egli in realtà non faceva pesca subacquea, glielo regalarono e basta. Lo girai e rigirai, in realtà non sapevo come si usasse, la logica voleva che la freccia fosse diretta in avanti, avevo intuito che la molla serviva a catturare e sprigionare la forza propulsiva e a scagliare la freccia in avanti. Mi sfuggiva però il funzionamento del meccanismo. Pensavo vagamente al mio fuciletto di legno che avevo costruito anni prima, di quelli che scagliano un lungo elastico ricavato da anelli di camera d’aria, e come grilletto una o due mollette di legno da bucato, con questa infallibile arma, ci facevo secche un sacco di mosche. Mi feci coraggio e provai innestando il lungo ferro arrugginito all’imboccatura del tubo di alluminio con al centro l’impugnatura, spinsi dentro ma non si muoveva, allora puntai il ferro con all’estremità una fiocina a tre punte sul terreno, con tutto il peso del mio corpo secco e spinsi verso il basso, sentii gracchiare, era un rumore di ruggine e ferraglia provocato dalla molla interna che scorreva, TAC! L’asta si era bloccata, ora bisognava scaricare l’arma, come fare? Pensai di mirare a un gatto che mi era antipatico ma era rischioso quindi ripetei l’operazione appena effettuata per caricare l’arma ma al contrario: con il peso del corpo tenevo il fucile, sganciai l’asta con una piccola pressione sul grilletto e mi ritrovai ad essere spinto dalla propulsione della molla, con forza verso l’alto tanto che mollai il fucile che fece un breve volo prima di ricadermi in testa. Tutto a posto, funziona!
Rovistando in garage saltò fuori un fucile subacqueo, era un tubo lungo in ferro con dentro una molla che scorreva internamente lungo tutta la sua lunghezza. Lo aveva portato a casa mio fratello, egli in realtà non faceva pesca subacquea, glielo regalarono e basta. Lo girai e rigirai, in realtà non sapevo come si usasse, la logica voleva che la freccia fosse diretta in avanti, avevo intuito che la molla serviva a catturare e sprigionare la forza propulsiva e a scagliare la freccia in avanti. Mi sfuggiva però il funzionamento del meccanismo. Pensavo vagamente al mio fuciletto di legno che avevo costruito anni prima, di quelli che scagliano un lungo elastico ricavato da anelli di camera d’aria, e come grilletto una o due mollette di legno da bucato, con questa infallibile arma, ci facevo secche un sacco di mosche. Mi feci coraggio e provai innestando il lungo ferro arrugginito all’imboccatura del tubo di alluminio con al centro l’impugnatura, spinsi dentro ma non si muoveva, allora puntai il ferro con all’estremità una fiocina a tre punte sul terreno, con tutto il peso del mio corpo secco e spinsi verso il basso, sentii gracchiare, era un rumore di ruggine e ferraglia provocato dalla molla interna che scorreva, TAC! L’asta si era bloccata, ora bisognava scaricare l’arma, come fare? Pensai di mirare a un gatto che mi era antipatico ma era rischioso quindi ripetei l’operazione appena effettuata per caricare l’arma ma al contrario: con il peso del corpo tenevo il fucile, sganciai l’asta con una piccola pressione sul grilletto e mi ritrovai ad essere spinto dalla propulsione della molla, con forza verso l’alto tanto che mollai il fucile che fece un breve volo prima di ricadermi in testa. Tutto a posto, funziona!
Il mattino dopo presi come sempre la maschera, le pinne e avvolsi
l’archibugio subacqueo nell’asciugamano
da spiaggia, camuffandolo in maniera che sembrasse un piccolo ombrellone avvolto
dal tessuto colorato. Nessuno dei passeggeri del pullman che mi avrebbe portato al mare ci avrebbe fatto caso. Questa
volta si faceva sul serio : io, memore delle raccomandazioni dei miei genitori
sul maneggio delle armi, coltelli o altro, scelsi per quella mattina di
sperimentare l’attrezzo in un posto poco frequentato, guarda caso proprio a
Capo Portiere! La spiaggia che io frequentavo con i miei amici purtroppo era
affollata, ma non lo era però la scogliera frangiflutti poco distante. Arrivai
ed ebbi la fortuna di vedere un sub in azione, aveva un fucile simile al mio ma
di colore azzurro e con lo stesso metodo di carica a molla. Notai che faceva un
certo movimento e l’asta, che era armata di fiocina con tre cuspidi, rimaneva inserita
internamente, con il torso fuori dall’acqua. Incastrava la freccia come io
stesso avevo fatto la sera prima, poi poneva l’impugnatura dell’arma sul
ginocchio piegato e con forza, spingeva la freccia dentro l’arma… In tutta
fretta indossai maschera e pinne ed entrai in acqua: subito però sentii una
voce:
“A regazzi’, ma nun c’hai niente da fa’? Qua ce sto io e tu te devi sposta’ più in là!”. Lo feci, ma
restava una sola piccola porzione di roccia, era pur sempre qualche cosa. Provai
subito a caricare il fucile ma invano, ne dedussi che o era troppo lungo lui o
troppo corto io! Uscii quindi dall’acqua per nulla scoraggiato, inserii la
fiocina, piantai l’arma nella sabbia e con tutto il peso del corpo feci in modo
che il fucile potesse caricarsi, uno, due, tre! Nulla, per caricare l’arma, mi
servirono più tentativi, il mio sforzo fu però premiato e l’asta rimase inserita
esattamente come doveva nel tubo con la molla interna rugginosa e gracidante, pronta a sfoderare tutta la
potenza. Entrai di nuovo in acqua, non so bene che tipo di tecnica sconosciuta
di caccia usai, né quanta fortuna ebbi, fatto sta che mi passò davanti una
spigola, io premetti il grilletto d’istinto e forse chiusi pure gli occhi,
così, senza nemmeno mirare. Piantai l’asta armata di fiocina sullo scoglio
sabbioso, al centro di essa c’era la spigola che si dimenava nel continuo moto
natatorio ma senza muoversi di un millimetro né avanti né indietro, visto che
era inchiodata allo scoglio, con gli occhi di chi è disperato: sembrava guardarmi
con la faccia sorpresa, come a dire: “Ma perché proprio io?”. Era la prima
volta che uccidevo un
Pontile, 1980 |
La sera mangiò da solo la spigola, io non la volli, dal mio
posto, che era a capotavola esattamente di fronte a lui, osservavo
i suoi movimenti, il modo che aveva per spolpare la preda, ”’spuzzoliandola” ,diceva
lui non tradendo se sue chiare origini napoletane. Lo osservavo con tanto
interesse che mi accorsi che dei piccolissimi pezzetti di carne erano rimasti
attaccati alla lisca, avrei voluto dirglielo, ma non lo feci, mi piaceva il modo in cui se ne nutriva: ne ero stato il cacciatore. Quella sera io mi nutrii di
questo ...
Sandro Arcieli
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