mercoledì 3 ottobre 2012

L'occasione mancata



E’ incredibile la potenza con cui, a distanza di tempo, certi ricordi riaffiorino.


I dettagli nitidi, ogni particolare, i colori, i rumori, le sensazioni, tutto torna a galla, quasi a permetterti di rivivere il momento.

Ed eccomi qui, colto da un raptus di scrittura, approfittando del tempo disponibile durante l’ennesimo volo, a mettere nero su bianco questo raccontino, nella speranza che chi lo leggerà possa rivivere il momento, così come io lo ricordo.

Allora prepariamo “Highway to hell” sull’impianto Hi-Fi, tralasciamo i preparativi fatti per il viaggio e spostiamoci dall’altra parte dell’emisfero.

La battuta di pesca si svolge nel blu, sul reef lato sud dell’isola di Mnemba, a largo di Zanzibar.

L’uscita è organizzata dal buon Eric Allard, che (sogno di molti e fortuna di pochi) ha fatto di una passione una professione: http://www.extremebluewaterspearfishing.com

In barca siamo in 4 a pescare: Eric, Nigel, Sergei ed il sottoscritto..

L’organizzazione a bordo è impeccabile, merito di Ali, “barcaiolo” di rara efficienza, perennemente indaffarato a tenere in ordine le attrezzature.

Competenza, disponibilità e simpatia fanno di Eric e Nigel una eccellente coppia di “guide” per la pesca nel blu.

L’artiglieria e quella delle grandi occasioni, in linea con le aspettative e le anticipazioni ricevute prima della partenza.

Io pesco in coppia con Sergei, giovane e taciturno sudafricano, e tra un drift e l’altro ci alterniamo nel prenderci cura del flasher.

Ci spostiamo in barca più volte alla ricerca del punto in cui la corrente battendo sul reef innesca la catena alimentare al vertice della quale ci sono le nostre prede.

La visibilità è buona, diciamo una ventina di metri. Sotto le pinne una sessantina di metri. In lontananza si intravede, bianca spumosa, la linea del reef, ed il rombo continuo dei frangenti, smorzato dalla distanza, è l’unico suono percepibile oltre ai motori dell’imbarcazione, a bordo della quale Ali non ci perde d’occhio.

Chiudi gli occhi e prova ad immaginare: l’acqua è calda, pulita, ti lasci cullare dalle onde oceaniche, scendi in vista del flasher, scruti nel blu alla ricerca di un pelagico in avvicinamento, accompagnato dal canto delle balene… dalla cortina blu-cobalto potrebbe sbucare di tutto.

Drift dopo drift la monotonia delle planate nel blu è rotta solo dalla fugace apparizione di delfini, mante, tartarughe. Ma ecco che di colpo qualcosa cambia!

(E’ questo il momento di far partire il brano degli AC/DC)

C’è mangianza. Di lato, davanti, dovunque giri lo sguardo, sono comparse le inconfondibili sagome affusolate di Wahoo. Sono dappertutto! Sergei ne colpisce uno, il pesce schizza via prima verso il fondo, poi verso la superficie, tirandosi dietro il fucile, la sagola galleggiante, le boe; segue Sergei aggrappato all’ultima boa… segue un squalo toro che è schizzato fuori dal blu.

La scena è veramente buffa: pesce, fucile, sagola, boe, uomo, squalo! E l’uomo non si accorto di nulla! Ti chiedi: “quante volte mi è venuto dietro uno squalo senza che me accorgessi?”

Il tempo di mettere il pesce in barca e siamo di nuovo in pesca.

I wahoo sono ancora li, gironzolano sotto di noi nei primi 15 metri. Molti a pelo d’acqua. Quelli più corpulenti restano bassi ed ho giusto il tempo di fare un tuffo per lisciarne uno che mentre ricarico, davanti a me, da ore 2, a pelo d’acqua, vedo arrivare un marlin.

Un fantastico, tozzo, massiccio, imponente marlin. Un fascio di muscoli carico di un intenso blu luminescente. Maestoso, per descriverlo con un solo aggettivo.

Il bestione mi sta transitando (non mi viene un altro temine più appropriato) davanti in tutta calma. Sono tentato di allineare il fucile e tentare l’impossibile, ma rinuncio. E’ a circa dieci metri e riuscirei a malapena a punzecchiarlo.

Il pesce, incede quasi per magia, con impercettibili movimenti della smisurata falce di coda. Dirige dritto verso Sergei, che ignaro di quello che sta per succedere, se ne sta a galla alla mia sinistra col fucile penzoloni, lo sguardo verso il fondo.

(Solo ora mi rendo conto di non avere percepito alcun pericolo, ne per me, ne per il compagno di pesca. E solo ora mi rendo conto di quanto si è vulnerabili in una tale circostanza.)

Vorrei che Sergei si accorgesse dell’arrivo del pesce, vorrei che fosse pronto a premere il grilletto al momento giusto, vorrei richiamare la sua attenzione in qualche modo. Un suono gutturale, qualcosa…ma mi freno nel timore di allarmare il pesce.

E allora mi metto comodo in poltrona e mi godo lo spettacolo.

Il pesce compie un arco e converge deciso verso Sergei. Man mano che il pesce si avvicina all’uomo realizzo le sue dimensioni, che stimo nell’ordine dei 250 chili. Tengo le dita incrociate e faccio il tifo per il compagno che finalmente ha un sussulto quando vede la testa del pesce sfilagli davanti al naso. Il cuore deve essergli arrivato in gola, ha appena il tempo di sollevare la punta del fucile e lasciar partire l’asta che va a piantarsi sul groppone del marlin.

E’ il finimondo. In un nanosecondo ad occupare la scena resta solo una scia di bollicine.

Pesce, fucile, sagolone, boe: tutto sparito. Mettiamo la testa fuori dall’acqua a cercare le boe.

“Hai visto?” mi chiede, spaesato ed eccitato per l’accaduto. Si insomma, spari una bestia del genere, l’attrezzatura sparisce nel blu e ti ritrovi a galleggiare in mezzo all’oceano senza sapere bene cosa fare!

Chiamiamo la barca e saliamo tutti a bordo. OK, calma. “Da che parte è andato?” chiede Eric.

Ora questa domanda appare scontata se devi inseguire un’automobile, ma nel caso in questione, pare quasi una battuta. Comunque iniziamo a pattugliare la zona circostante procedendo verso il largo.

10 occhi a scrutare l’orizzonte. Poche parole. Molti pensieri. Chissà cosa pensavano gli altri.

Io ero combattuto. Da un lato la goduria della scena appena vissuta, l’aspettativa di mettere a bordo un pesce da trofeo, dall’altro la consapevolezza di avere irrimediabilmente mancato l’occasione. Beh, era proprio la speranza di incontrare un pesce del genere che mi aveva portato li, e quel babbeo mi va a passare fuori tiro!

Se non fossi stato impegnato a caricare il fucile, forse si sarebbe avvicinato? Se avessi avuto un lanciasiluri forse avrei potuto tentare la cattura? Se, se, se…

Dopo minuti interminabili di sconforto, finalmente l’avvistamento della boa riporta tutti alla realtà e all’ottimismo. Accostiamo alle boe che vengono trascinate dal nuoto poderoso del pesce in fuga, Sergei (tocca a lui fare tutto, è il suo pesce) scende in acqua ed aggiunge altre due boe alla linea galleggiante, che continuiamo a seguire finché questa, rallentando, indica che il pesce si sta stancando. E’ ora di doppiare il marlin. La barca sopravanza il pesce e Sergei viene condotto e messo in acqua sulla traiettoria di fuga.

Anche Eric, armato di telecamera, entra in azione e appena mette la testa sotto il pelo dell’acqua dal boccaglio farfuglia qualcosa come “Oh shit, it’s a beast!”

Il pesce passa veloce senza dare l’opportunità di essere filmato e senza concedere un secondo tiro. Sergei si aggrappa al sagolone e viene trainato insieme alle 4 boe: tenta inutilmente di risalire il sagolone per portarsi a distanza utile per piazzare il colpo risolutore.

Dalla barca Eric e Nigel impartiscono consigli all’affaticato pescatore, ma non c’è storia; il marlin è ancora vigoroso e non mostra cenni di cedimento. I minuti trascorrono e all’improvviso succede quello che tutti temevamo: il pesce decide di inabissarsi. Guardiamo, sbigottiti, le boe che inesorabilmente, una ad una, si mettono in verticale e si infilano nel blu. Plof… plof… plof… plof…

Le osserviamo increduli, quasi a tentare di tenerle su con la forza del pensiero. Irritati, consapevoli che probabilmente quelle boe non torneranno più in superficie, siamo di nuovo tutti a bordo a pattugliare l’oceano. La sfiducia cresce col passare del tempo. Sono minuti interminabili. Non so dire quanto tempo abbiamo dedicato a questa seconda ricerca mentre il sole scendeva basso sull’orizzonte. Siamo aggrediti dal pensiero per quel magnifico pesce che dopo un fantastico combattimento ha deciso probabilmente di andare a morire sul fondo, mentre una debole speranza ci porta a fantasticare che riuscirà a liberarsi dell’asta.

Comunque si è fatto tardi, c’è una bella navigazione da fare per tornare a terra, e quindi ci rassegniamo. La partita si chiude qua.

Restano il ricordo di una meravigliosa battuta di pesca, l’amara consapevolezza di avere abbandonato un fantastico pesce ferito, il rammarico di aver mancato - per pochi metri - l’occasione di una cattura da record.

2 commenti:

  1. Le avventure di Albino sono sempre uniche e narrate con dovizia di particolari... mi spiace solo che due racconti siano di pesci persi, io lo conosco bene e so quanto è bravo nella pesca subacquea,mi aspetto anche racconti di pesci catturati (che per fortuna sono di numero superiore a quelli persi)

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