giovedì 29 gennaio 2015

Dal Libro "Il Mio Mare" da pagina 3 a pagina 8, capitolo 1°

E’ l’alba e sono in mare.
Tutto intorno è azzurro, il sole lentamente sta sorgendo dietro alle montagne, investendole di colore arancio che, mischiato al turchese del cielo e al bianco dei cirri, dà origine a sfumature che nemmeno Leonardo potrebbe replicare.  Anche questa mattina Dio si è divertito: ha tra le mani la tavolozza con tutti colori della Natura. Con mano felice e molta fantasia, i colori e le loro sfumature vengono miscelati e creati con abilità e maestria.
La varietà  delle sfumature cambia in continuazione, di minuto in minuto e man mano che il sole cresce: bianco, viola, fucsia, rosa, giallo e altri si fondono lentamente, dando vita a mille giochi cromatici irripetibili che variano in continuazione man mano che il sole cresce. Che spettacolo!  Mi guardo intorno e mi rendo conto di essere solo, unico testimone di questo miracolo, ogni giorno diverso, ogni volta  più bello.
Respiro profondamente, il mio diaframma si abbassa lentamente facendo spazio alla parte inferiore dei polmoni e gonfiando piano la pancia; ecco poi che percepisco anche la gabbia toracica che si espande, l’aria fresca scende dentro i polmoni, mi sembra di vedere gli alveoli che, come fiori all’alba, si aprono affamati per assimilare e distribuire il prezioso gas, arricchendo tutto il mio me di ossigeno. Espello l’aria per un tempo molto più lungo, almeno il doppio del tempo di inspirazione.
La mia percezione in queste rare situazioni  è al massimo, i sensi sono acuiti e tutti i piccoli e inutili rumori della vita quotidiana vengono coperti dal lento e rilassato battito del  cuore; il poco sciabordio delle piccole onde che si infrangono tra l’opera viva e l’opera morta del gommone non riescono a deconcentrarmi, anzi. La tranquillità nella quale sono calato è rotta improvvisamente  dal grido stridente di due gabbiani che volano affiancati sfiorando la superficie dell’acqua, nella speranza di trovare del cibo,  ricerca di resti del pasto di pesci predatori notturni  o  di qualche branco di pesciolini che nuotano nervosamente in superficie  nella speranza di sfuggire alla morte.
I due grandi pennuti quasi mi sfiorano nel loro volo radente, per un istante riesco a vederne nitidamente l’occhio marrone nocciola scuro, con l’iride piccolo e nero, segno tangibile della messa a fuoco a lunga distanza. Occhio vigile e attento del cacciatore spietato, occhio di una bestia che, per natura e istinto di sopravvivenza, non fa prigionieri. Sento chiaramente il fruscio ovattato delle ali nel loro battere, per un attimo mi ricorda lo stesso rumore provocato dal ventaglio di seta souvenir della Spagna, che mia madre usava anni prima per allontanare la calura estiva, il suono sordo e ovattato è lo stesso… flap, flap, flap. Nei pochi secondi durante i quali si concedono a me, non posso fare a meno di osservare attentamente le sfumature di colore delle bianche ali che scuriscono leggermente per divenire grigie a metà e poi nere verso le estremità.  
Andate - penso –  e cacciate con saggezza!   
Ho indossato la muta e sputato nella maschera, come sempre.
E’ un gesto utile, serve a evitare che il vetro si appanni a contatto con l’acqua fresca del mare. E’ al tempo stesso un rito senza il quale i “vecchi” non possono immergersi. Oggi i giovani sub, usano sostanze chimiche anti appannanti e molto inquinanti, per poi ottenere lo stesso risultato. O forse no ; è meglio il mio metodo.
Durante la vestizione, ancora  una volta, per un attimo,  provo un leggero fastidio,  è l’odore pungente della muta. A distanza di 40 anni e più, infatti, ancora non riesco ad abituarmici, non tanto per l’odore in sé,  quanto perché contrasta troppo con il profumo della natura: il neoprene, tessuto protettivo elastico e gommoso  che compone la muta da sub, deriva dal petrolio, prodotto che con il mare poco ci sta.
Eccomi, sono pronto. Mi calo in acqua. L’acqua di mare quando ti riconosce, non ti bagna, semplicemente si sposta, si apre per abbracciarti, ti accoglie felice… Provo sempre una sensazione unica: è l’effetto del “Diving Reflex” (riflesso da immersione), il rilassamento di tutti gli organi interni, i MIEI organi. E così: fegato, reni, pancreas, polmoni, cervello, cuore… tutto si decontrae, tutto ha memoria, tutto riporta all’atavico ricordo del grembo di mia Madre, a quando me ne stavo al calduccio nel liquido amniotico, che bello! Nove mesi in apnea…
Entro in acqua cercando di non fare rumore. Appena la maschera oltrepassa la sottile linea di demarcazione che il mare segna tra esso e l’aria, il panorama davanti ai miei occhi cambia all’improvviso: sono sospeso, mi sento leggero e mi sembra di volare in un  cielo fatto di acqua, non vi è nessuna forza di gravità. E’ in questo preciso istante che riesco ad avere la stessa prospettiva dei gabbiani che ho incontrato pochi minuti fa, loro cacciavano prede dall’alto, IO caccio prede dall’alto. E’ incredibile e straordinario, volo! Volo e mi godrò da questa altezza, un meraviglioso altro pianeta.
Dal mio nuovo punto di osservazione tutto cambia. Prospettiva, colori, sfumature, forme, flora, fauna tutto mi allontana dal posto da dove provengo, la terra ferma. Non mi è strano però sentirmi più a casa qui tra i pinnuti, che a terra tra i bipedi terrestri. Mentre penso a questo, la mia attenzione viene catturata da un carosello attuato da un branco di acciughe che si muovono cambiando direzione ritmicamente, riempiendo d’argento tutto il mare circostante a vista d’occhio, dal fondo alla superficie. Qualche medusa di colore viola elettrico, con sfumature gialle e dai corti tentacoli, anche essi colorati ma di viola-rosa che terminano con una forma sferica, si lascia trasportare dalla corrente  pigramente, aiutandosi solo con un movimento ritmico dei bordi del suo mantello (in verità le meduse mi hanno sempre dato una senso di passività, come dire, “oggi speriamo bene di trovare una corrente che ci faccia mangiare!” ma sappiamo tutti che così non è!). La medusa che nuota  più vicina a me ha una forma chiaramente tozza e cilindrica, mi ricorda per un istante quei buffi cappellini che portano le nonne, di quelli  che si fermano tra i capelli con lunghi spilloni sui quali si può applicare una rete che fa trasparire gli occhi. La cosa mi fa sorridere, non riesco infatti mai a trattenermi da questo, la mia mente vaga libera e senza controllo, si fa avanti con forza e determinazione, un pianeta fumettistico fatto di paragoni e confronti che lo collegano con le cose che vedo. Sotto la medusa  nuotano dei piccoli pesciolini blu: sono delle castagnole o “guarracini”, come si chiamano in dialetto napoletano, questi, appena nati sono di colore blu appunto, poi negli anni diventano neri.
Grazie a questo secondo colore attuano una strategia di difesa che serve a spaventare i loro predatori. La loro vita si svolge in branco ma in “formazione indipendente”, ognuno per sé ma sempre abbastanza vicini. Quando percepiscono un pericolo si ammassano vicinissimi, come usiamo dire noi sub che li abbiamo visti in azione, si “appallano” cioè formano una grossa palla scura, sembrando così un grosso pesce, come un plotone di soldati in formazione da battaglia. Questo stratagemma con l’acqua torbida, in genere spaventa i male intenzionati pesci di grossa taglia e li confonde nella scelta e la messa a fuoco della eventuale preda. Più in basso tantissimi pesci colorati sparsi tutto intorno, si muovono lenti e sinuosi; qualche sarago, ancora intento terminare il  pasto notturno a base di ricci di mare, si allontana satollo lentamente, non appena mi sente.

Mentre guardo questo spettacolo, ringrazio mio padre, lo faccio ogni volta per la grande opportunità che in passato mi ha dato, e questo pensiero mi porta sempre, inesorabilmente, indietro nel tempo…
Africa, anni '50 





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